Il mito è la memoria di un tempo che fu. Crediamo sia qualcosa di lontano da noi, eppure “raccontiamo miti” ogni volta che cerchiamo di far addormentare i nostri figli con favole moderne che conservano in seno il sapore di un mito antichissimo, ancestrale, tramandato di generazione in generazione in tutti i tempi della Storia.
Anche Euripide, nelle sue tragedie, rappresentava quel mito, già antico per i suoi tempi. Un mito nato da due opposte civiltà, quella dei sedentari e quella dei nomadi invasori e la tragedia prendeva da esso la propria storia per sottolineare la contrapposizione fra queste due morali. Il pensiero tragico nasceva, così, per mettere a nudo una lacerante e dicotomica verità: non esistono il bene e il male, ma due realtà entrambe bene e male e la scelta, tra una delle due morali, sarà sempre lacerante, “tragica”, per l’appunto.
Euripide fu un uomo che visse e raccontò il suo tempo attraverso il mito, scegliendo, per questo racconto, sempre figure femminili portatrici, per eccellenza, di lacerazioni primordiali e, al contempo, di profonde verità storiche.
In questo quadro “al femminile” gli uomini, i valorosi eroi guerrieri che la tradizione ci ha tramandato, diventano, al cospetto delle donne, scialbe figure incolori. |