L’autunno non esiste…solo l’inverno impera!
Cogliemmo la prima mela anni fa, dall’albero più alto del giardino più bello; secoli sono passati d’allora e noi, figli del tempo e del continuo divenire, danziamo e balliamo, ogni anno, su dei carri celtici. Da sempre!
Durante queste feste, maschere dal volto di donna fingono piaceri orgiastici, con uomini vestiti da re senza scettro e da sposi, che amano le loro labbra carnose.
Fu una lunga notte, pesante e buia; piccole luci d’occhi rincuoravano le strade affamate d’allegria. Tutti, con il petto in fuori e coi polmoni gonfi, giocavano a fare l’amore in maschera e ridevano. Belli e cortigiani.
Le ragazze assomigliavano a delle ninfe moderne, dai capelli lunghi. Alcune, splendide come delle giovani muse, abbracciavano gli uomini mascherati, cantando.
Per ornamento piccoli e miseri volti di plastica…infine l’alba corteggiò le nuvole nere sorridendo.
All’improvviso tutto sembrò avere una fine, come quella di un lungo serpente dal veleno che seduce, sempre!
***
Prime ore del mattino: la gente aveva abbandonato da poco la strada: diavoli, gnomi e fate bellissime…nessun’anima viva, né un pagliaccio con cui giocare e bere. Alcuni carri allegorici parcheggiati nella piazza, immobili, subivano le prime gocce di pioggia, che cadevano lente e poi sempre più forte, e le nuvole si avvicinavano tra loro come vecchie amanti, quasi a scontrarsi. Il cielo era grigio e in lontananza nessuna collina da ammirare, né casolare antico.
Tutto era sottosopra nel quartiere: un bordello!
Un uomo ha detto che quando la gente si toglie la maschera si rattrista: le labbra rimangono chiuse e non si “smuovono” per ore. Volti, poco prima mascherati, riprendono la propria tristezza eterna.
Donne e uomini consapevoli che gl’altri non sono loro e mai potranno o vorranno esserlo. Quel ch’è più triste e che loro non sono gli altri! Un gioco complicato che dura da secoli, infine solo i sogni infantili donano la pace, che si disperde nel tempo e nel vento della dimenticanza.
Della festa, come segno e testimonianza, i partecipanti lasciarono zucche sparse per le strade di periferia e maschere di cartone, visi di plastica e “capelli” di paglia, di quelli che si potevano e si possono tutt’ora vedere, toccare, nei vecchi campi durante l’estate.
Una “paglia amica” che aiuta e non pretende nulla, solo un cappello forse, per sembrare più bella. La paglia non mangia, ma possiede un’anima da spaventapasseri.
Le zucche, mezze gialle e marce, figlie di una vecchia festa celtica e pagana avevano gli occhi perforati e vuoti, e l’asfalto grigio della strada era bagnato. Il sole d’autunno creava un effetto onirico, travolgente, i raggi sembravano potenti. Le nubi timidamente stavano scomparendo, forse sarebbero tornate e la pioggia avrebbe battezzato il mondo.
Il catrame assomigliava ad un tappeto magico, ornato da piccoli diamanti africani, di quelli trasparenti.
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